Le assenze dovute a infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ma è necessario che sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c..
Lo ribadisce la Corte di Cassazione con la sent. n. 5749/2019, dichiarando la inammissibilità del ricorso di un lavoratore, licenziato per superamento del periodo di comporto, inteso al risarcimento dei danni subiti per effetto di comportamenti mobbizzanti adottati nei suoi confronti dalla società datrice di lavoro.
Ad avviso del ricorrente, l'imprenditore lo aveva adibito ad attività nocive per la sua salute e non rientranti nel suo livello di appartenenza, che gli avevano procurato una sindrome depressiva e una dermatite allergica da contatto, senza avere posto in atto i necessari correttivi organizzativi e strumentali imposti dalla normativa in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
La Cassazione, nel confermare la decisione della Corte di Appello, afferma che, in tema di responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c., incombe al lavoratore che ritenga di avere subito un danno alla salute, a causa dell'attività lavorativa, l'onere di provare, oltre all'esistenza del danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra.
La prova della causa di lavoro o della speciale nocività dell'ambiente di lavoro deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità.
Inoltre, la riconosciuta dipendenza delle malattie da una "causa di servizio" non implica necessariamente che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell'ambiente di lavoro, in quanto essi possono dipendere dalla qualità intrinsecamente usurante della prestazione lavorativa e dal logoramento dell'organismo del dipendente esposto a un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall'ambito dell'art. 2087 cod. civ., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici.
In sostanza, le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.. Ciò che nel caso di specie è stato escluso.
L'infortunio occorso al lavoratore, durante il tragitto in bicicletta per raggiungere il posto di lavoro, deve essere indennizzato dall'INAIL quando il suo uso è da ritenersi necessitato, come quello del mezzo privato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 21516/2018, riguardo il ricorso di un lavoratore contro la decisione dell'INAIL che gli aveva negato il riconoscimento dell'indennizzo.
La Corte di Appello, nel respingere la domanda, aveva ritenuto che l'uso del mezzo privato non fosse "necessitato", pur a fronte della mancanza di mezzi pubblici e delle condizioni fisiche che rendevano la deambulazione faticosa, disagevole e scarsamente tollerata. Da tenere presente che le vicende oggetto di causa sono precedenti alla legge n. 221/2015 che ha ritenuto l'uso della bici sempre necessitato.
La Suprema Corte accoglie il ricorso del lavoratore ritenendolo fondato: la sentenza impugnata infatti aveva dato una inadeguata interpretazione della nozione di "utilizzo necessitato" del mezzo privato di cui all'art. 210 del T.U. 1124/1965, in quanto premesso che era pacifica l'insussistenza di mezzi pubblici (abitazione/ luogo di lavoro), riteneva che l'uso del mezzo privato (la bicicletta) non fosse necessitato in presenza di problemi di deambulazione.
È proprio su questo requisito che la Cassazione ribadisce che per "necessità" non si devono intendere soltanto le situazioni in cui l'impossibilità sia assoluta, ma, alla luce dei principi di tutela della dignità della persona e della salute, anche quelle in cui la deambulazione sia "motivo di pena ed eccesso di fatica, oltre che di rischio per l'integrità psicofisica".
Si legge nella sentenza che l'uso della bicicletta per il tragitto luogo di lavoro abitazione può essere consentito secondo un canone di necessità relativa, ragionevolmente valutato in relazione al costume sociale, anche per assicurare un più intenso rapporto con la comunità familiare, e per tutelare l'esigenza di raggiungere in modo riposato e disteso i luoghi di lavoro in funzione di una maggiore gratificazione dell'attività svolta.
Ricorda la Cassazione che l'art. 5, comma 5, L. 221/2015, norma integrativa dell'art. 210 del T.U. n. 1124/65, entrata in vigore successivamente alla causa in esame, stabilisce che "l'uso del velocipede, come definito ai sensi dell'articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato".
In sostanza, dal 2/2/2016 data di entrata in vigore della legge n. 221, l'infortunio verificatosi durante il tragitto di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, se avvenuto in bicicletta, è indennizzabile dall'INAIL, proprio perché è da considerarsi mezzo pubblico e non mezzo privato il cui uso è "sempre necessitato".
Dal 13 gennaio prossimo, anche in caso di infortunio sul lavoro, il dipendente pubblico è tenuto a rispettare le fasce orarie di reperibilità.
Questa è una delle principali novità contenute nel decreto n. 206 del 17 ottobre 2017, pubblicato nella G.U. 302 del 29 dicembre 2017.
Il decreto abroga integralmente il decreto del Ministro per la pubblica Amministrazione e l'innovazione 18 dicembre 2009, n. 206, che disciplinava le attuali fasce di reperibilità per i pubblici dipendenti (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18) e con il quale erano state previste le seguenti esclusioni dall'obbligo di reperibilità:
"1. Sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l'assenza è etiologicamente riconducibile ad una delle seguenti circostanze:
a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
b) infortuni sul lavoro;
c) malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio;
d) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta.
2. Sono altresì esclusi i dipendenti nei confronti dei quali è stata già effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato".
L'art. 4 del decreto 206/2017 modifica invece le cause che escludono dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità. Infatti, non devono obbligatoriamente restare presso il proprio domicilio i dipendenti per i quali l'assenza è riconducibile ad una delle seguenti circostanze:
"a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto;
c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%".
In sostanza cosa cambia?
Le nuove regole sono indubbiamente più stringenti.
Mentre il punto a) resta invariato (patologie gravi che richiedono terapie salvavita), il punto b del decreto 206/99 viene eliminato e quindi gli infortuni sul lavoro rientrano tra le situazioni che obbligano al rispetto delle fasce di reperibilità.
Per la causa di servizio (attuale punto b), rientrano solo le menomazioni riportate nelle tabelle indicate.
Infine, per gli stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta (punto c) viene introdotta una precisa percentuale di invalidità, al di sotto della quale vige l'obbligo di reperibilità.
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Nuove regole 2018 riguardanti visite fiscali per il personale scolastico
Il prossimo 13 gennaio 2018 entra in vigore il DECRETO 17 ottobre 2017, n. 206, che riguarda il regolamento recante modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l'accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l'individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell'articolo 55-septies, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. (17G00221).
L'art.2 del su citato decreto specifica che le visite fiscali possono essere effettuate con cadenza sistematica e ripetitiva, anche in prossimità delle giornate festive e di riposo settimanale, fermo restando quanto previsto dall'articolo 55-septies, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
L'art.3 fissa le fasce orarie che, è utile ricordare non sono state modificate, infatti queste sono fissate secondo i seguenti orari: dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.
All'articolo 4 del Decreto 206/2017 è specificato che sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l'assenza è riconducibile ad una delle seguenti circostanze:
1. a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita; b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n.834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto; c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%.
È utile ricordare che ai sensi dell'art. 8 del DM 206/2017, ovvero della mancata accettazione dell'esito della visita, qualora il dipendente non accetti l'esito della visita fiscale, il medico è tenuto ad informarlo del fatto che deve eccepire il dissenso seduta stante.
Il medico annota sul verbale il manifestato dissenso che deve essere sottoscritto dal dipendente e contestualmente invita lo stesso a sottoporsi a visita fiscale, nel primo giorno utile, presso l'Ufficio medico legale dell'INPS competente per territorio, per il giudizio definitivo.
In caso di rifiuto a firmare del dipendente, il medico fiscale informa tempestivamente l'INPS e predispone apposito invito a visita ambulatoriale. Il suddetto invito viene consegnato con modalità stabilite dall'INPS nel rispetto della riservatezza ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Malattia, visite fiscali: chi è escluso dalle fasce di reperibilità?
Come già segnalato altre volte da questa testata, il 13 gennaio entreranno in vigore le nuove regole in merito a malattia e visite fiscali, come previsto dal decreto Madia dello scorso ottobre. Ci concentriamo per il momento sull'articolo 4, recante le "Esclusioni dall'obbligo di reperibilità".
Chi viene escluso dalle fasce di reperibilità?
Infatti, l'art.3 dello stesso decreto fissa le fasce orarie in cui i lavoratori devono mantenere reperibilità per la visita fiscale, ovvero dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18, domenica e festivi compresi.
Da queste fasce di reperibilità, il decreto riporta chi non possiede l'obbligo di rispettare tali fasce orarie, ovvero, sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l'assenza è riconducibile ad una delle seguenti circostanze:
a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto;
c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità' riconosciuta, pari o superiore al 67%.
Per quanto riguarda il punto b), è bene specificare che si tratta del "Definitivo riordinamento delle pensioni di guerra, in attuazione della delega previsto dall'art. 1 della legge 23 settembre 1981, n. 533″, come riporta la nota all'articolo 4 del decreto.
Invece, il punto c) rappresenta una novità per i lavoratori pubblici, in quanto tale esonero di obbligo alla reperibilità era presente solo sul fronte privato, non per quello pubblico.
Niente armonizzazione pubblico-privato: no alla minore incisività dei controlli nella PA
L'idea iniziale era quella di armonizzare i settori pubblico e privato anche per quanto riguarda le visite fiscali, sulla falsariga di quanto è avvenuto con le soglie pensionistiche.
Invece, la Funzione Pubblica ha preferito mantenere i due comparti separati, in quanto "l'armonizzazione alla disciplina prevista per i lavoratori privati avrebbe comportato (per i dipendenti pubblici) una riduzione delle fasce orarie da sette ore giornaliere a sole quattro e, quindi, una minore incisività della disciplina dei controlli".
Malattia, gli orari delle visite fiscali non cambiano ma il medico potrà bussare più volte: pure la domenica
Una delle tendenze degli ultimi anni in tema di lavoro è la progressiva equiparazione tra pubblico e privato. Anche in ambito pensionistico, dove proprio in questi giorni le soglie sono state portate indifferentemente per tutti i dipendenti, a prescindere dal settore di appartenenza, a 66 anni e 7 mesi. La "regola", però, non vale per le visite fiscali, che continueranno ad essere attuate in orari fortemente differenziati. E il medico potrà bussare più volte nel corso anche della stessa giornata, festivi compresi.
Che fine ha fatto l'armonizzazione tra pubblico e privato?
Il prossimo 13 gennaio il decreto 17 ottobre 2017, n. 206, firmato dalla ministra della Funzione Pubblica Marianna Madia di concerto con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che segue la realizzazione del polo unico della medicina fiscale, porterà in vigore il rinnovato regolamento sulle modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l'accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l'individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell'articolo 55-septies, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. (17G00221).
Nel privato le fasce di reperibilità tra le ore 10 e le 12 e tra le 17 e le 19.
Se nell'articolo 2 del si introduce che le visite fiscali potranno essere effettuate con "cadenza sistematica e ripetitiva, anche in prossimità delle giornate festive e di riposo settimanale" (brutte notizie per gli assenteisti seriali del lunedì), il successivo articolo conferma le tradizionali fasce orarie, le quali vengono mantenute dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.
Rimane in piedi, quindi, la discrasia con i dipendenti privati, per i quali le finestre di reperibilità nel proprio domicilio risultano decisamente più brevi, poiché comprese tra le ore 10 e le 12 e tra le 17 e le 19.
La Funzione Pubblica dice no alla minore incisività dei controlli nella PA
Ma a cosa è dovuto il mantenimento della differenza? Il presidente dell'Inps, Tito Boeri, ha a lungo caldeggiato l'innalzamento delle fasce dei privati. Venuta mano tale possibilità, si è allora pensato di ridurre quelle dei dipendenti pubblici. Solo che per questa possibilità ha espresso il suo veto il dicastero della Funzione pubblica, per il quale "l'armonizzazione alla disciplina prevista per i lavoratori privati avrebbe comportato (per i dipendenti pubblici) una riduzione delle fasce orarie da sette ore giornaliere a sole quattro e, quindi, una minore incisività della disciplina dei controlli".
Gli unici ad essere esentati dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità saranno i dipendenti con "stati patologici sottesi o connessi alla situazione d'invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%". Percentuale minima già in vigore nel privato ma non presente nella PA. Almeno su questo fronte, l'armonizzazione si è compiuta.
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Chiunque avesse ricevuto il riconoscimento di postumi permanenti a causa di un infortunio o di una malattia professionale, ha diritto a richiedere l'eventuale aggravamento di questa valutazione entro 10 nni, in caso di infortunio e 15 anni in caso di malattia professionale.
Le domande di aggravamento posso essere presentate in tutti gli uffici Ital UIL, il personale medico sarà a disposizione per le visite presso l'Inail.
Ricordiamo il numero verde dell'Ital: 800 085303
Se il lavoratore ha subito un infortunio sul luogo di lavoro, anche di piccola entità e apparentemente senza postumi, deve informare immediatamente il datore di lavore che ha l'obbligo di presentare denuncia all'INAIL entro 48 ore dall'evento. In questi casi è importante rivolgeresi comunque al Patronato per avere una consulenza e assistenza a tutela per le prestazioni erogate dall'INAIL. Anche l'infortunio accaduto durante il tragitto compiuto dall'assicurato per recarsi nel luogo di lavoro e dal luogo di lavoro alla propria abitazione, il cosi detto "infortunio in itinere", è compreso nell'assicurazione, al sussistere di determinate condizioni.
Le prestazioni economiche dell'assicurazione INAIL
Diverse sono le prestazioni economiche dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali erogate dall'INAIL
L'indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta
Quando, in conseguenza di infortunio o malattia professionale, il lavoratore si trovi in una inabilità temporanea assoluta al lavoro, viene erogata dall'Inail l'indennità nelle seguenti misure: il 60% della retribuzione media giornaliera dal 4° al 90° giorno; il 75% della retribuzione media giornaliera dal 91° giorno in poi, fino a guarigione clinica.
Il giorno dell'infortunio e i successivi tre giorni sono a carico del datore di lavoro.
I contratti di lavoro generalmente prevedono integrazioni e criteri di erogazione di miglior favore da parte del datore di lavoro.
Il Patronato ITAL con mandato di assistenza, può intervenire nell'interesse dell'assistito chiedendo all'INAIL il pagamento nei termini stabiliti, e richiedere il prolungamento del periodo di temporanea, qualora il lavoratore non sia in grado di riprendere l'attività lavorativa o in caso di ricaduta.
L'indennizzo per danno permanete comprensivo del danno biologico
Per gli eventi verificatisi dal 25.7.2000 in poi (entrata in vigore del Dlgs 38/2000), al lavoratore che riporti un danno permanente alla propria integrità psico-fisica, a causa di infortunio o malattia professionale, viene sempre indennizzato il danno biologico fino al 100%, secondo il nuovo sistema:
dal 6% al 15% di invalidità, indennizzo in capitale per il solo danno biologico (in base ad età e sesso);
dal 16% in poi, costituzione di una rendita, comprensiva di una quota per danno biologico e di una quota aggiuntiva per le conseguenze patrimoniali(retribuzione) delle menomazioni riportate.
L'adeguamento dell'indennizzo in capitale
La revisione dell'indennizzo in capitale per i danni dal 6% al 15%, per aggravamenti intervenuti nei 10 anni per l'infortunio o 15 anni per la malattia professionale, può avvenire una sola volta a richiesta dell'interessato. Questo non impedisce che il lavoratore possa continuare a chiedere le revisioni previste dalla legge, per aggravamento, esclusivamente al fine di ottenere la costituzione della rendita (16%).
La rendita per inabilità permanente
I lavoratori che hanno subito un infortunio o denunciato una malattia professionale prima del 25/7/2000, hanno diritto alla rendita erogata secondo la precedente normativa, avendo riportato un' inabilità permanente di grado compreso tra l'11% e il 100% della propria capacità lavorativa, calcolata in base al grado di inabilità e alla retribuzione percepita nell'anno precedente l'evento.
Se riporta un grado di inabilità inferiore all'11% può chiedere le revisioni in caso di aggravamento per ottenere la rendita.
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