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Visualizza articoli per tag: donne lavoratrici

Dopo il calo del mese scorso a gennaio 2018 la stima degli occupati torna a crescere (+0,1%, pari a +25 mila rispetto a dicembre). Il tasso di occupazione sale al 58,1% (+0,1 punti percentuali).

L'aumento dell'occupazione nell'ultimo mese è determinato dalla componente femminile e, con riferimento all'età, dalla forte crescita dei giovani di 15-24 anni e da quella più lieve degli ultracinquantenni, a fronte di un calo tra gli uomini e nelle classi di età centrali tra 25 e 49 anni. Crescono in misura consistente i dipendenti a tempo determinato, mentre calano i permanenti e gli indipendenti.

Nel trimestre novembre-gennaio l'occupazione rimane sostanzialmente stabile rispetto al trimestre precedente. Segnali positivi si registrano tra le donne (+0,1%), gli over 50 (+1,0%) e soprattutto i giovani di 15-24 anni (+2,4%), a fronte di un calo tra gli uomini e nelle classi comprese tra 25 e 49 anni. Crescono nel trimestre i dipendenti a termine (+2,4%), mentre calano i permanenti (-0,3%) e gli indipendenti (-0,5%).

La stima delle persone in cerca di occupazione torna a crescere a gennaio (+2,3%, +64 mila) dopo cinque mesi consecutivi di calo. L'aumento della disoccupazione interessa donne e uomini e si distribuisce tra tutte le classi di età. Il tasso di disoccupazione sale all'11,1% (+0,2 punti percentuali rispetto a dicembre), mentre quello giovanile scende al 31,5% (-1,2 punti).

Dopo l'aumento del mese scorso, a gennaio la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni cala dello 0,6% (-83 mila). La diminuzione interessa prevalentemente le donne e i giovani 15-24enni. Il tasso di inattività scende al 34,5% (-0,2 punti percentuali).

Nel trimestre novembre-gennaio, rispetto ai tre mesi precedenti, alla sostanziale stabilità degli occupati si accompagna il calo dei disoccupati (-1,1%, -33 mila) e l'aumento degli inattivi (+0,1%, +14 mila).

Su base annua si conferma l'aumento degli occupati (+0,7%, +156 mila) determinato esclusivamente dalle donne. La crescita si concentra solo tra i lavoratori a termine (+409 mila) mentre calano gli indipendenti (-191 mila) e i permanenti (-62 mila). Aumentano soprattutto gli occupati ultracinquantenni (+335 mila) ma anche i 15-24enni (+106 mila), mentre calano i 25-49enni (-285 mila). Nello stesso periodo diminuiscono sia i disoccupati (-4,9%, -147 mila) sia gli inattivi (-0,6%, -75 mila).

Al netto dell'effetto della componente demografica, l'incidenza degli occupati sulla popolazione cresce su base annua tra i 15-34enni e i 50-64enni, mentre è in calo tra i 35-49enni.

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No al licenziamento della lavoratrice nel periodo protetto per chiusura reparto.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22720 del 28 settembre 2017, afferma l'illegittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro a una dipendente durante il periodo di gravidanza (c.d. periodo protetto), per chiusura del reparto cui era addetta, nel corso di una procedura di licenziamento collettivo, pur avendone posticipato gli effetti a epoca successiva al compimento del primo anno di vita del figlio.

Ritiene la Cassazione, contrariamente a quanto sostenuto dalla società datrice di lavoro, che la chiusura del solo reparto di contact center presso cui prestava attività la lavoratrice, non legittimasse il licenziamento, secondo un precedente indirizzo che sosteneva un'interpretazione estensiva della "cessazione dell'attività aziendale" (art. 54, comma 3, lettera b), del T.U. n. 151/2001) anche alla "cessazione di un reparto" dotato di autonomia funzionale, come nel caso di specie (v. sentenza n. 23684/2004 ).

Viene così confutato tale orientamento giurisprudenziale in quanto le uniche eccezioni che consentono il licenziamento sono quelle indicate espressamente dal citato art. 54. La cessazione totale dell'attività aziendale rappresenta un principio rigoroso non estensibile.

Si rileva, inoltre, nella sentenza che l'aver rimandato gli effetti del recesso ad un'epoca successiva al compimento del primo anno di vita del figlio (termine del periodo protetto), non vale a modificare i tratti essenziali della fattispecie normativa e del relativo quadro sanzionatorio giacché, attraverso tale espediente, risulta di fatto frustrato lo scopo di tutelare il diritto alla serenità della gestazione, che la Corte Costituzionale con sentenza n. 61 del 1991 aveva posto a fondamento della tutela.

Pertanto, "in tema di tutela della lavoratrice madre, la deroga al divieto di licenziamento dettato dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54 - secondo cui è vietato il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino - prevista dall'art. 54, comma 3, lett. b), del medesimo decreto, opera nell'ipotesi di cessazione di attività dell'azienda alla quale la lavoratrice è addetta ed è insuscettibile di interpretazione estensiva ed analogica...".

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"Non si può andare in pensione tutti alla stessa età". È quanto ha sostenuto il Segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, intervenendo al dibattito organizzato dal PD sul tema della previdenza, ribadendo la sua contrarietà all'innalzamento automatico dell'età pensionistica e rilanciando il principio della flessibilità introdotto con l'accordo dello scorso mese di settembre.

"Inoltre - ha proseguito Barbagallo - dobbiamo preoccuparci dei giovani e del loro futuro previdenziale: bisogna fare investimenti, dunque, per creare lavoro e definire regole che diano un minimo di garanzie per la loro futura pensione. E poiché - ha sottolineato il leader della Uil - da questo punto di vista la precarietà non aiuta, occorre introdurre una contribuzione integrativa per i giovani - oltreché per le donne che si occupano della cura della famiglia - che, altrimenti, rischiano di non avere una pensione decente. Questo è l'obiettivo - ha concluso Barbagallo - che ci prefiggiamo di raggiungere nel confronto in atto con il Governo".

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UIL: Passi avanti verso l'eliminazione degli ostacoli per le donne lavoratrici

 "Nell'attuale Legge di Bilancio è stato approvato l'emendamento che aumenta il congedo di paternità dagli attuali 2 giorni a 5 giorni di cui 4 obbligatori e 1 facoltativo a partire dal 2018. Tale misura diventa, dunque, strutturale e non più annuale.

Proficuo, dunque, è stato il confronto di Cgil Cisl e Uil con il Governo che ha consentito di fare un altro passo avanti verso l'eliminazione degli ostacoli nei confronti del lavoro delle donne, affinché la condivisione della cura dei figli sia un obiettivo di interesse comune.

Sono stati, inoltre, introdotti nella manovra economica il congedo per le lavoratrici autonome vittime di violenza e la prosecuzione nella sperimentazione dell'opzione donna sempre per le lavoratrici autonome. Previsto, infine, un aumento di 5 milioni all'anno per il triennio 2017/2019 del finanziamento del piano contro la violenza.

Si tratta di misure importanti: primi passi verso la realizzazione di un modello di società civile più giusta, che favorisca le famiglie e sostenga le donne nel mondo del lavoro all'insegna della parità di genere e contro ogni forma di violenza." (Roma, 25 novembre 2016)

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