Dichiarazione di Antonio Foccillo, Segretario confederale UIL
Come avevamo immaginato, dalle informazioni che abbiamo ricevuto si evince che le risorse stanziate per il rinnovo contrattuale 2019/2021 sono ben lontane dai 4,2 miliardi di cui alcuni hanno parlato in queste ore.
In realtà, le cifre, stando a quanto ci risulta, possono dirsi sufficienti a coprire nei fatti la perequazione, l'indennità di vacanza contrattuale e i trattamenti accessori del comparto sicurezza, limitando così l'effettivo incremento salariale a ben poca cosa.
Se così fosse, ripetiamo che non può assolutamente essere questo lo spirito della prossima tornata contrattuale, che tutt'al contrario, sbloccati i rinnovi lo scorso anno, deve rappresentare ora l'occasione per ridare fiato al poter d'acquisto dei lavoratori pubblici.
Sul fronte poi del piano straordinario delle assunzioni, pur sempre guardando positivamente i numeri previsti, ribadiamo la necessità che tale operazione, non solo, copra il 100% delle unità in uscita, ma che risponda anche alle conseguenze dei dieci anni di blocco del turn over, che hanno ridotto il numero complessivo ed aumentato l'età dei dipendenti pubblici.
Per tutti questi motivi aspettiamo un chiarimento dalla Ministra della Pubblica amministrazione.
Come è noto, l'Istat ha certificato che la crescita delle retribuzioni contrattuali è pressoché vicina allo zero. Purtroppo, non è un dato che ci sorprende sia perché i recenti rinnovi nel settore privato non hanno ancora generato compiutamente i loro effetti economici sia perché nel settore pubblico, nonostante l'intesa con il Governo dello scorso mese di novembre, oltre tre milioni di lavoratori continuano ad avere i loro stipendi fermi a più di sette anni fa.Ed è proprio questo il punto dolente. Se fossero confermate le indiscrezioni sui contenuti del Testo unico sulla PA, che dovrebbe essere varato in uno dei prossimi Cdm, non sarebbero rispettati i contenuti dell'accordo così faticosamente raggiunto tra le parti sociali e il precedente Esecutivo.
Questa intesa, infatti, deve essere correttamente recepita non solo nella direttiva necessaria alla concreta definizione dei contratti per i lavoratori del pubblico impiego ma, coerentemente, anche nello stesso Testo unico. Confidiamo nel fatto che questo Governo, che, peraltro, non manca di sottolineare la propria continuità politica con il precedente, non avallerà le ipotesi correnti poiché il rischio sarebbe quello di venire meno al principio istituzionale del rispetto dei patti sottoscritti.
Chiediamo, dunque, che si entri subito nel vivo delle trattative per i rinnovi dei contratti dei singoli comparti, avendo come riferimento l'impostazione condivisa, pochi mesi or sono, a Palazzo Vidoni, per dare finalmente il giusto riconoscimento economico a milioni di lavoratori.
In una sua circolare, l'Aran sostiene che i dipendenti pubblici in ferie possono essere richiamati al lavoro per esigenze di servizio. Non entro nel merito della vicenda, ma vanno chiarite tre questioni. Innanzitutto, sono i contratti a definire diritti e doveri dei dipendenti e non certo le circolari dell'Aran.
Inoltre, ciò che dice l'Aran non ha valore di legge: può rappresentare un'interpretazione della norma contrattuale, ma deve essere comunque riconosciuta da entrambe le parti. Infine, questa impostazione "scandalistica" che caratterizza tutto ciò che riguarda i pubblici dipendenti è diventata insopportabile: non è vero che siamo in una giungla, le regole ci sono, basta che siano applicate dai dirigenti responsabili.
Ciò detto, perché non ci si scandalizza del fatto che, da oltre sette anni, questi lavoratori sono senza contratto e si continua a bistrattarli e a offenderli? Perché non ci si scandalizza per la reiterata disapplicazione di una sentenza della Corte costituzionale che ha giudicato illegittimo il blocco della contrattazione? È anche ora, peraltro, di arrivare a un'uniformità contrattuale per i pubblici e i privati, a partire dalla defiscalizzazione del salario accessorio e dall'unificazione dell'età pensionistica per le donne, solo per citare i casi più noti e tacendo le tante altre differenze. Insomma, si aprano davvero i tavoli per i rinnovi dei contratti, così da valorizzare i tantissimi dipendenti pubblici che continuano a fare il proprio lavoro.
Roma, 26.6.2016
Dichiarazione di Antonio Foccillo, Segretario confederale Uil
È ora di finirla con questo ripetuto atteggiamento autoreferenziale del Governo e poi accusare gli altri interlocutori di non collaborare e chiedere sempre con chi stanno. Se si vuole collaborazione, si deve dialogare e confrontarsi anche con le posizioni altrui. Come Uil, abbiamo sempre sostenuto che le riforme senza la partecipazione sono destinate a fallire.
Il Sottosegretario alla Funzione Pubblica, Rughetti, in un'intervista sostiene che i sindacati: "Hanno preferito tentare di bloccare l'attuazione della legge piuttosto che trovare soluzioni. Noi andiamo avanti nell'interesse dei cittadini, loro decidano da che parte stare".
Ebbene il Sottosegretario non può fare accuse generiche. Dica quando e in che modo il sindacato avrebbe avuto questa posizione. E soprattutto lo circostanzi.
Non è vero che il sindacato ha preferito bloccare la riforma sulle province, infatti, il sindacato aveva firmato un protocollo d'intesa con l'allora Ministro Del Rio e con il Ministero della funzione pubblica condividendo i rischi di una modifica senza partecipazione dei diversi interlocutori istituzionali e sociali. Protocollo che serviva a rendere tutto il passaggio delle funzioni, la gestione del personale e il ridisegno dello Stato attraverso Osservatori a livello nazionale e regionali dove le parti si confrontavano. Da quel momento solo silenzio, non sono mai stati aperti tali organismi e non si è potuto discutere della problematica in modo sufficiente e costruttivamente e non certo per colpa del sindacato, che anzi continua a chiedere di insediare tavoli di confronti a tutti i livelli.
Sulla valutazione del Sottosegretario tesa a chiedere da che parte stia il sindacato, possiamo affermare, senza tema di essere smentiti, che stiamo dalla parte dei cittadini e dalla parte dei lavoratori. Stiamo con i cittadini, perché le funzioni che svolgevano in passato le province, oggi, non si sa chi le deve svolgere, con grave nocumento per i servizi. Stiamo con il personale delle province perché esso è in un limbo, non sapendo dove si deve allocare e neppure chi lo deve pagare, perché non si conoscono ancora quali funzioni restano alle province e quali devono passare ad altri organi dello Stato.
La verità è che si è fatta una riforma senza un confronto con le istituzioni e con le rappresentanze sociali e, adesso, quando emergono difficoltà, si tenta di scaricare le responsabilità su altri soggetti. Un po' di autocritica andrebbe fatta da parte del Governo.
Roma 1.4.2015
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