In una manovra da 33 miliardi si è deciso di destinare agli insegnanti italiani lo 0,62%. E non a tutti, solo a quelli che dimostrano "dedizione".Sei mesi esatti, sei mesi senza risposte. Tanto è trascorso dalla firma il 20 maggio scorso del Patto sulla scuola. Un accordo in 21 punti nei quali la scuola veniva definita «risorsa fondamentale per il rilancio del Paese».
Obiettivo dichiarato: garantire stabilità alla scuola partendo dalla stabilità del personale.
Banco di prova di queste misure strategiche, la Legge di Bilancio.
In una manovra da 33 miliardi, si è deciso di destinarne agli insegnanti italiani lo 0,62% e nemmeno per tutti.
Sono i 210 milioni di euro previsti nella Legge di Bilancio destinato al fondo di valorizzazione docente, per “premiare la dedizione”. Per gli ATA? Non si capisce
I fondi del PNRR rischiano di andare a costruire cattedrali nel deserto se non ci saranno persone a dare qualità al lavoro che si fa a scuola.
Tutti i giorni il Presidente del Consiglio afferma che occorre investire sulla scuola.
Per noi questo significa guardare in primo luogo al personale che ci lavora. Se si pensa di governare la scuola attraverso il modello del mercato siamo lontano anni luce dal modello di scuola che abbiamo in mente.
A conti fatti, ci sono 87 euro per l’aumento contrattuale, più i 12 euro (non per tutti) legati alla dedizione.
Il calcolo a tre cifre è presto fatto. Ma non è neanche lontanamente quello che ci si attende.
Il peggio di questa vicenda è che tutti ci danno ragione, ma nessuno fa niente per modificare questa impostazione. Lo dice anche il ministro dell’Istruzione, lo riaffermano le forze politiche, ma poi ognuno si stringe nelle spalle. E nella Finanziaria si decide il contratto.
C’è un problema di democrazia e il sindacato unito oggi vuole protestare e reagire. La scuola si ribella. Perché la scuola non è di questo o quel Governo. La scuola è dei cittadini della Repubblica non deve essere terreno di scontro politico.
Con questo sciopero vogliamo mettere in evidenza quello che è il fiore all’occhiello di questo paese. Abbiamo dato prova di essere persone molto pragmatiche. Il personale della scuola non va a bruciare i cassonetti ma ora basta; la politica deve dare risposte concrete.
Dopo mesi che abbiamo avuto riunioni su riunioni, i cosiddetti ‘tavoli aperti’ abbiamo capito che questo è un sistema che non può risolvere i problemi. È un problema politico, siamo in emergenza ‘zona rossa’ e non c’è più possibilità di risolvere i problemi, con i rituali. Bisogna decidere.
Noi ci ribelliamo perché rifiutiamo queste politiche neo liberiste di esclusione che sono peraltro lontane dalla Costituzione, su cui ogni componente del Governo ha posto giuramento.