Prima o poi sarebbe dovuto accadere ed è arrivata la prima causa civile italiana che vede convenuta in giudizio una piattaforma online che gestisce rapporti di lavoro: quella di Foodora. Sono ormai diversi anni che si dibatte di gig-economy e del proliferare di piattaforme digitali che pongono alla base della loro mission servizi a costi bassissimi e la velocità della consegna del prodotto. E' naturale che a tali vantaggi per il consumatore finale, ne fa da contraltare la riduzione, se non negazione, di diritti e tutele per i c.d. riders.
E' chiaro che la decisione emessa ieri in I° grado del Tribunale di Torino non ci piace e non ci convince, ma è, purtroppo, la diretta conseguenza di una lacuna legislativa nazionale, europea ed internazionale, sulla disciplina e natura di queste nuove ed innovative forme di lavoro.
Non si può sostenere che i riders siano "autonomi" per alcuni aspetti del rapporto, ma "licenziabili" se non seguono le direttive dell'azienda. O sono totalmente liberi sul "se", "come" e "quando" effettuare la prestazione e quindi autonomi, o eterodiretti e quindi subordinati.
Poiché gli attuali indici di subordinazione italiani sono del tutto evidenti in tale organizzazione del lavoro, come UIL, continuiamo a sostenere che si tratti di rapporti di natura subordinata con contestuale garanzia di diritti e tutele per i lavoratori.
Altro tema, importante come il precedente, è l'anomala funzione di intermediazione al lavoro che svolgono queste piattaforme sulle quali andrebbe semplicemente applicata la normativa sulle agenzie di collocamento con annesse regole e sanzioni.
Roma, 12 aprile 2018
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