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Il Ministero del lavoro, in risposta all'interpello n. 2/2019, si pronuncia in merito al diritto alla pausa pranzo e alla conseguente attribuzione del buono pasto, o alla fruizione del servizio mensa, da parte delle lavoratrici che usufruiscono dei riposi giornalieri "per allattamento" (art. 39 del D.Lgs. n. 151/2001).

In particolare, si chiede se in caso di una presenza effettiva nella sede di lavoro pari a 5 ore e 12 minuti, dovuta alla fruizione dei riposi giornalieri, si debba procedere a decurtare i 30 minuti della pausa pranzo, come se la lavoratrice avesse effettivamente completato l'intero orario giornaliero, considerato che tali riposi sono considerati dalla legge ore lavorative a tutti gli effetti.

Ad avviso del Ministero nella fattispecie in esame non si ha diritto alla pausa pranzo, secondo un'analisi coordinata delle seguenti due disposizioni aventi finalità diverse per l'attribuzione delle pause lavorative.

L'articolo 39 del decreto legislativo n. 151/01 stabilisce il diritto della lavoratrice, durante il primo anno di vita del figlio, a due ore di riposo giornaliero, quando l'orario lavorativo è superiore alle sei ore, e a una sola ora di riposo per un orario inferiore a sei ore. Lo stesso articolo stabilisce che i permessi sono "considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro".

L'articolo 8 del D.Lgs. n. 66/2003, relativo all'organizzazione dell'orario di lavoro, consente invece al lavoratore che effettui una prestazione superiore a sei ore di beneficiare di un "intervallo" per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti, ai fini del recupero delle energie psico fisiche.

Premesso quanto sopra, considerata la funzione della pausa pranzo, che la legge definisce come "intervallo", termine che lascia presupporre la successiva ripresa dell'attività lavorativa, il Ministero esclude che una presenza effettiva della lavoratrice nella sede di lavoro per meno di sei ore dia diritto alla pausa.

Pertanto, non si dovrà procedere alla decurtazione dei 30 minuti della pausa pranzo dal totale delle ore effettivamente lavorate dalla lavoratrice.

Il parere recepisce, peraltro, le indicazioni sia del Dipartimento della Funzione Pubblica sia dell'Agenzia delle Entrate, secondo le quali "il diritto al buono pasto sorge per il dipendente solo nell'ipotesi di attività lavorativa effettiva dopo la pausa stessa".

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