Per uscire dalla crisi e per puntare a una crescita anche occupazionale si pone l'esigenza di restituire potere di acquisto ai lavoratori e ai pensionati con l'obiettivo di alimentare la domanda interna: ecco perché occorre sostenere i redditi da lavoro e da pensione. Avevamo chiesto l'estensione degli 80 euro ai pensionati e agli incapienti, ma non vi è alcuna traccia di questo provvedimento né del ripristino delle indicizzazioni per le pensioni.
Si perpetua, poi, la scelta di non rinnovare i contratti nel pubblico impiego dove, peraltro, il beneficio degli 80 euro ha riguardato solo 800 mila addetti e, in questi ultimi anni, la forza lavoro è diminuita di 500mila unità. Il potere di acquisto degli oltre tre milioni di pubblici dipendenti è calato dell'11%. Eppure, per iniziare a rinnovare i contratti, basterebbe ridurre le consulenze per un importo pari a 500 milioni. Noi abbiamo dato disdetta dei Protocolli per la regolamentazione dello sciopero nel pubblico impiego, ma vogliamo applicare le leggi; anzi, applicheremo i regolamenti alla lettera, così il Paese si ferma davvero.
Renzi ci dice di tornare a trattare con le aziende: e l'Azienda Italia, che è il peggior datore di lavoro, perché non tratta con noi per il rinnovo del contratto del pubblico impiego?
Le imprese non investono più nel nostro Paese anche perché ci sono troppe leggi: bisogna ridurle e renderle più comprensibili, senza che si debba ricorrere, sistematicamente, a circolari interpretative che danno lavoro agli avvocati e ai giudici.
I tagli lineari operati nei ministeri e nelle Regioni si tradurranno in un aumento delle tasse, a meno che non si ponga un vincolo alla crescita delle tasse locali.
Le tasse sul "mattone" sono insostenibili; l'incremento della tassazione sui fondi pensione rischia di affossare la previdenza integrativa, con buona pace degli sforzi fatti per consentire ai giovani di avere, un domani, una pensione più dignitosa; la tassazione ordinaria applicata al TFR farebbe lievitare il peso fiscale sui lavoratori, minimo del 9%.
Mancano i fondi per la cassa e la mobilità in deroga, con il rischio che si esasperino le tensioni sociali.
Siamo d'accordo con la decontribuzione, purché non si licenzino i lavoratori al termine dell'incentivo. Peraltro, 1 miliardo destinato alla decontribuzione è stato tolto alle risorse per il Mezzogiorno e questa non è la strada da seguire.
La riduzione dell'Irap a pioggia non ha alcun senso: bisogna riservarla alle aziende che fanno investimenti, innovazione e occupazione.
Il bonus alle mamme è del tutto insufficiente, se si pensa che gli asili nidi possono arrivare a costare 400 euro a bambino.
Sono stati ridotti i finanziamenti per la non autosufficienza e, al di là delle "secchiate di ghiaccio" anche per la SLA.
Dagli uffici del nostro Patronato sono passati, in un anno, oltre 6 milioni di persone. Con il taglio previsto in legge di stabilità, il servizio reso gratuitamente ai cittadini, ai pensionati e agli immigrati si ridurrà notevolmente. Tutte queste persone si riverseranno negli uffici pubblici, intasandoli e facendo lievitare i costi a carico dello Stato. Non solo; una parte dei 9mila operatori dei Patronati rischia di trovarsi senza lavoro: li porteremo tutti davanti al Ministero del Lavoro.
L'incontro è stato comunque utile perché ci ha consentito di esprimere, in una sede ufficiale, le nostre osservazioni e proposte. Da parte del Governo, però, c'è stata solo una presa d'atto delle posizioni sindacali senza alcun impegno. Non abbiamo chiesto di contrattare, ma solo di avere alcuna risposte o indicazione di merito sulle nostre richieste e considerazioni. Il Governo non si è espresso e non ha indicato neanche una possibile data per una successiva convocazione.
Abbiamo chiesto a CGIL e CISL di fissare un incontro per valutare le iniziative da assumere.