Il padre non ha diritto ai permessi giornalieri (artt. 39 e 40 del T.U. 151/2001) se la madre è casalinga, a meno dell'impossibilità di questa di dedicarsi al figlio per ragioni concrete e ben documentate.
Lo chiarisce il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4993/2017, superando precedenti indirizzi interpretativi.
Il caso riguarda un poliziotto che aveva proposto ricorso al TAR dopo che era stata negata la sua richiesta di fruire dei periodi di riposo previsti dall'art. 40, lett. c), del T.U. n. 151/ 2001, in quanto la compagna era una "casalinga". Ad avviso del ricorrente la casalinga non sarebbe per definizione una "lavoratrice dipendente", pertanto ai sensi del citato art. 40 avrebbe dovuto godere lui dei permessi.
Su questo aspetto, come rileva lo stesso Consiglio di Stato, vi sono tuttavia orientamenti contrastanti, in ordine all'interpretazione da riconoscere alla locuzione "lavoratrice dipendente" di cui alla lett. c) dell'art. 40. Questo articolo prevede che "1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre".
Numerosi settori dell'ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice che svolge un'attività non retribuita a favore della propria famiglia che la distoglie dalla cura della prole. Pertanto il padre potrà beneficiare di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto "lavoratrice non dipendente" e pur tuttavia impegnata in attività (quella di "casalinga") che la distolgano dalla cura del neonato.
Per altri, invece, la casalinga non può essere parificata alla donna "non lavoratrice dipendente", posto che "la considerazione dell'attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende anche le cure parentali". D'altronde, il fatto di poter gestire il proprio tempo nell'ambito familiare, le consente di dedicare l'equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure del figlio. Orientamento condiviso ora dal Consiglio di Stato.
Si precisa inoltre nella sentenza che gli articoli 39 e 40 sanciscono la priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre può accedere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.
"Peraltro, se la madre è casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40".
Si rammenta a ogni buon conto che il Consiglio di Stato, con la precedente sentenza n. 4618 del 10 settembre 2014, aveva ribadito la possibilità da parte del lavoratore di usufruire dei riposi giornalieri anche nel caso di moglie casalinga.