Il lavoratore che, in congedo straordinario per assistere la madre disabile, viene licenziato perché il datore di lavoro aveva accertato che durante il giorno accudiva ai propri interessi anziché prestarle assistenza, deve essere reintegrato se risulta comunque provata l'assistenza notturna.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29062 del 5/12/2017, riguardo il caso di un dipendente che aveva giustificato il suo comportamento affermando di aver prestato assistenza notturna alla madre, anche sulla scorta di una certificazione medica specialistica che dimostrava come questa necessitasse che il figlio restasse sveglio di notte stante la sua tendenza alla fuga ed all'insonnia.
"In definitiva – precisa la Suprema Corte – accertato che il lavoratore prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone, l'addebito, così come contestato, è da ritenere insussistente, proprio perché è stato smentito, secondo la ricostruzione intangibile degli stessi giudici del merito, che il figlio convivente non prestasse l'assistenza dovuta alla madre.".
"Né può ritenersi – si legge ancora nella sentenza - che l'assistenza che legittima il beneficio del congedo straordinario possa intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, quali la cura dei propri interessi personali e familiari, oltre alle ordinarie necessità di riposo e di recupero delle energie psico-fisiche, sempre che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile.".
In sostanza ancora una volta la Cassazione sostiene che l'assistenza al disabile non debba essere prestata per tutta la giornata (24 ore al giorno), ma è sufficiente che venga attuata con modalità costanti e con quella flessibilità che tenga conto anche dei bisogni e delle esigenze del lavoratore.