In allegato una nota UIL sull'esito dell'incontro della CES con il sindacato inglese TUC che si è svolto la scorsa settimana a Londra per esaminare l'esito del voto e condividere le prossime iniziative sindacali europee. Si allega la traduzione della Dichiarazione della CES ed una scheda del TUC relativa alla dichiarazione di voto delle Federazioni del sindacato.
E' previsto l'incontro straordinario dell'Esecutivo CES per il 6 settembre.
BREXIT – Posizione della CES e del TUC: Nota UIL
La scorsa settimana si è svolto a Londra un incontro con il TUC sui risultati del referendum sulla Brexit e la posizione del sindacato inglese TUC.
La CES ha diffuso la nota che vi alleghiamo tradotta in italiano, nella quale sottolinea le ragioni che hanno spinto la maggioranza di chi ha votato a chiedere di uscire dalla UE, compresi gran parte dei lavoratori iscritti al TUC e la necessità, comunque, di non isolare il sindacato inglese in questa fase di preparazione dei negoziati con la Commissione ed il Consiglio.
Ci sono ragioni interne al partito conservatore Tory, diffusamente riportate dalla stampa, relative a lotte intestine al partito che hanno condotto ad una campagna miope e avventata da parte dell'ex PM Cameron. Ma ci sono ragioni più profonde di malcontento e crisi economica, occupazionale e sociale utilizzate in una campagna elettorale fuorviante e confusa dai sostenitori della Brexit.
Il TUC ci ha fatto avere un prospetto elaborato dal sindacato sul peggioramento della situazione economica, sociale e del lavoro; dopo una parziale ripresa dal 2010 al 2014 il PIL è sceso in modo significativo nel 2015 e soprattutto con una perdita netta nei primi mesi del 2016 di 11,000 posti di lavoro, che per la condizione inglese rappresentano un vero allarme per la popolazione. Sul fronte occupazionale non si può non ricordare, comunque, gli ingenti tagli al settore pubblico nei primi anni di crisi, che hanno fortemente inciso sul diffondersi di sentimenti antieuropei già prima della decisione di indire il referendum.
Il TUC in questi anni di crisi ha perso iscritti: da 6,5 milioni è sceso a 5,8 nel 2015, con un tasso di sindacalizzazione nel settore privato intorno al 13,9% ed in quello pubblico, predominante, del 54,8%. La contrattazione collettiva nel settore privato è calata e la copertura contrattuale è passata dal 36,4% nel 2000 al 27,9% nel 2015. Nel settore pubblico si è passati dal 74,2% al 60,7% nello stesso arco di tempo.
La situazione più critica, comunque, si è registrata sul fronte dell'occupazione con l'introduzione di tipologie di contratto sempre più atipiche, con il "famoso" contratto a zero ore – che obbliga il lavoratore ad un rapporto esclusivo con un datore di lavoro che lo può chiamare anche fino a 15 minuti prima della prestazione – e con una netta contrazione dei contratti standard a tempo indeterminato. Si è registrato un aumento del part-time (6,8 milioni oggi) e del tempo determinato (1,6 milioni).
Il Governo Cameron, inoltre, ha radicalmente cambiato il sistema di welfare – imputando queste misure alle politiche di austerità richieste dalla UE – con nuove disposizioni, più restrittive, per accedere ai sussidi sociali, introducendo un meccanismo sanzionatorio con sospensione dei sussidi e ampliando i tagli ai servizi pubblici. Il recente tentativo del Governo di modificare il sistema previdenziale nel settore pubblico ha decisamente segnato gran parte dell'opinione pubblica, anche di fronte alla difficoltà del TUC di contrastare ed incidere nelle scelte del Governo.
Il TUC si è trovato in una situazione oggettivamente di forte ostilità del Governo Tory, non è riuscito ad imporre una sua agenda diversa sul fronte dei contratti di lavoro, delle modifiche al sistema di welfare, degli stessi aumenti salariali, con un congelamento di quelli pubblici ed un aumento solo dei salari minimi contrattualizzati, ma senza una progressione oltre il minimo.
Infine, ad inizio 2016 il Governo ha proposto un nuovo Disegno di Legge – Trade Union Act 2016 – che ha passato il voto di una Camera -, con il quale si introduce tutta una serie di restrizioni al diritto di sciopero, al diritto di manifestare, ai diritti individuali dei lavoratori, si cambiano le regole per il sistema di check-off delle iscrizioni al sindacato (tutte le spese sono a carico del TUC), si limita l'attività sindacale.
In questo quadro complesso e critico, soprattutto sull'impatto di vari provvedimenti sulle condizioni di vita e di lavoro delle persone, nel quale con difficoltà ha cercato di muoversi il TUC occorre sottolineare che le politiche di austerità imposte dalla UE, la grave crisi dei rifugiati ed il modo approssimativo, non coeso e confuso con il quale le Istituzioni Europee hanno risposto ed infine gli effetti distorti della libertà di circolazione delle persone nel quadro della mobilità del lavoro hanno creato un crescente clima di reticenza, ostilità e rifiuto della Unione Europea nel suo insieme.
La distorta e difforme interpretazione ed applicazione della Direttiva Distacco dei lavoratori – in base alla quale, a seguito delle sentenze della Corte di Giustizia Europea è possibile applicare il contratto di lavoro del paese di provenienza e non quello del paese dove si svolge il servizio – ha fomentato un clima di avversione non tanto nei confronti di cittadini di paesi terzi, quanto nei confronti di cittadini di altri paesi europei, lavoratori disposti a percepire salari e condizioni di lavoro diverse dai lavoratori locali, creando situazioni di dumping salariale e sociale insostenibili.
La proposta di revisione della Direttiva, da parte della Commissione, che ci si appresta a discutere nei prossimi mesi, è stata tardiva e non ha potuto avere alcun impatto nella campagna referendaria.
Il TUC ha senza dubbio iniziato la sua campagna per il "remain" in ritardo, troppo a ridosso del referendum, nella necessità di avere la maggioranza delle sue federazioni schierate a favore del "remain". Questo processo di consenso ha richiesto molto tempo con una spaccatura all'interno del sindacato stesso. Si allega una scheda nella quale sono riportate le federazioni a favore, contro e neutre rispetto alla campagna per rimanere nella UE.
Il TUC oggi chiede tempo prima di ufficializzare il risultato del referendum in base all'Art. 50 del Trattato comunitario, secondo il quale solo dopo la notifica ufficiale si può dare avvio ai negoziati, che dovrebbero durare due anni. La posizione del TUC in questa prima fase – anche se il nuovo Governo Tory pare voglia dare seguito alla Brexit, seppur chiedendo più tempo alla UE – è quella di cercare di trovare un modo legittimo di non ufficializzare o ritardare il più possibile la notifica, sulla base di alcune considerazioni:
- La prima che si è trattato di un Referendum consultivo, al quale hanno partecipato al voto non tutti gli aventi diritto, quindi il risultato finale non corrisponde alla maggioranza dei cittadini inglesi.
- Secondo, che, trattandosi di una decisione definitiva cosi impegnativa per il paese, sia necessario il voto delle due Camere ed è fortemente in dubbio che la Camera dei Lords possa votare a favore della Brexit.
- Terzo, le implicazioni sul futuro assetto costituzionale del Regno Unito sono ignote – Scozia, Irlanda del Nord – non sufficientemente considerate e portate all'attenzione degli elettori.
Nell'incontro di Londra della scorsa settimana, il TUC ha chiesto ai sindacati europei ed alla CES di non affrettare l'avvio dei negoziati, di lasciare che passi del tempo per capire a cosa si va incontro. Il sindacato chiede solidarietà e di non essere isolato. Alcuni sindacati, però, a partire dai francesi, tedeschi, italiani, spagnoli chiedono che si avvii quanto prima il negoziato per gestire le condizioni di uscita del Regno Unito dalla UE e per garantire stabilità alla UE, perché occorre considerare anche l'impatto di questa incertezza sull'economia e le condizioni di lavoro negli altri paesi europei.
Nel caso di negoziato il TUC sarebbe favorevole ad un accordo tipo quello sottoscritto dalla Norvegia, con accesso al libero mercato europeo nel rispetto delle 4 libertà – libertà di movimento delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone – con un contributo, però, al bilancio della UE, ma senza far parte del sistema istituzionale e decisionale della UE. Ma si tratta solo di una prima valutazione del TUC, che necessita approfondimenti; il sindacato oggi teme di rimanere isolato, di isolare ancor più i lavoratori britannici dai benefici del mercato unico e chiede comunque di essere pienamente coinvolto nei negoziati.
La questione è capire quanto si possa reggere la punto vista economico questa incertezza sul futuro della UE, in quanto i mercati, come si è visto, non reagiscono positivamente e le stime di crescita di OCSE e FMI sono state già riviste al ribasso per il 2016 e 2017 e non solo nei paesi UE, ma anche nelle altre grandi aree economiche del mondo.
Nella Dichiarazione allegata la CES chiede con fermezza che, nel discutere della Brexit, non si mettano in discussione le fondamenta della Unione Europea, i valori, i principi, la libertà di circolazione, ma anche soprattutto diritti sociali e del lavoro riconosciuti e difesi in tutti i paesi membri. Si chiede un impegno chiaro alle Istituzioni Europee a combattere gli squilibri, le distorsioni e le diseguaglianze che si sono determinati tra paesi membri e all'interno degli stessi paesi e che contribuiscono a rafforzare questa diffusa disaffezione alla integrazione europea ed al progetto europeo.
La discussione nei prossimi mesi sul Pilastro Europeo dei nuovi Diritti Sociali deve essere una occasione per promuovere il progresso sociale in Europa, partendo dalla cooperazione, dalla solidarietà e da una visione di un futuro più sostenibile nella UE.
Dipartimento Internazionale UIL
21 luglio 2016