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Lunedì, 15 Febbraio 2016 10:57

Osservazione Uil sul decreto licenziamenti

Valutazioni della Uil sul decreto legislativo sul licenziamento disciplinare nella Pubblica Amministrazione.

In linea di principio, la UIL ritiene che le normative che vanno a colpire un presunto reato non siano contestabili, ovviamente, quando sono in armonia con le disposizioni del nostro ordinamento giuridico.

Entrando nel merito dello schema di decreto in titolo, vi trasmettiamo le nostre considerazioni.

Lo schema di provvedimento, tra l'altro, prevede l'introduzione della sospensione cautelare senza stipendio del dipendente pubblico nei casi di falsa attestazione della presenza in servizio, l'introduzione di un procedimento disciplinare accelerato, nonché l'estensione della responsabilità disciplinare del dirigente e l'irrogazione della sanzione del licenziamento disciplinare ai casi in cui lo stesso ometta l'adozione del provvedimento di sospensione cautelare.

Al riguardo, preliminarmente, non può non farsi presente che le disposizioni dello schema di provvedimento, troverebbero maggiore coordinamento con l'ordinamento vigente se collocate all'articolo 55-bis, che disciplina forme e termini del procedimento disciplinare, nonchè procedure differenziate a seconda della gravità delle infrazioni; piuttosto che all'articolo 55-quater, relativo alle sanzioni disciplinari da applicarsi in taluni casi ivi enucleati. 2

Tale circostanza, sotto il profilo del rapporto con la normativa vigente, presenta un difetto di coordinamento tale da ingenerare possibili criticità, anche in relazione al mancato rispetto del canone di ragionevolezza1 dell'impianto normativo proposto.

Per principio di ragionevolezza, ovvero di razionalità o proporzionalità, discendente dal principio di eguaglianza, si intende il parametro utilizzato dalla Corte Costituzionale ai fini dell'espressione del giudizio di legittimità delle norme, ove in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione. Nella sostanza, la Corte, mediante questi parametri, compie una valutazione sulla legittimità di una norma, verificandone la coerenza rispetto al canone di uguaglianza, e alla sua coerenza con l'intero impianto Costituzionale. Laddove si verifichi che una disposizione leda tale principio perché tratti casi analoghi con arbitrarie differenziazioni, ovvero, uniformi irrazionalmente situazioni differenti, ovvero, ancora, espanda in modo incoerente un diritto in misura tale da danneggiarne altri Costituzionalmente garantiti, la Corte può esprimere un giudizio di incostituzionalità e, pertanto, cassare la norma dall'ordinamento giuridico.

Ad esempio, il comma 3-bis, come introdotto all'articolo 55-quater, dispone che la sospensione cautelare è disposta dal responsabile della struttura presso cui il dipendente lavora. Sul punto, non appare chiaro se il responsabile della struttura abbia qualifica dirigenziale o meno.

Infatti, nel caso in cui il titolare della struttura fosse privo di qualifica dirigenziale non avrebbe competenza, per effetto delle disposizioni di cui agli articoli 4, c. 1, lett. d) e c.2, e 17, c.1, lett. e) del Dlgs 165/2001 in materia di dirigenza, ad applicare una misura così afflittiva – peraltro senza il rispetto del principio del contraddittorio - quale quella della sospensione cautelare senza retribuzione. Tanto più per il fatto che essa impatta su diritti inviolabili della persona poiché la sanzione incide su beni che hanno rilievo Costituzionale, e comunque ancor prima che sia stato avviato, dall'organo di cui all'articolo 55-bis, comma 4, il vero e proprio procedimento disciplinare.

Ciò è ancora più evidente alla luce di quanto disposto dal predetto comma 4, secondo il quale, in presenza di infrazioni gravi, il responsabile della struttura, anche se dirigente, ha l'obbligo di trasmettere gli atti all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai fini dell'irrogazione dell'eventuale sanzione.

In ogni caso, al riguardo, si formulano le seguenti osservazioni:

-il comma 1-bis, come introdotto dall'articolo 1, c.1, lett. a) dello schema di decreto, prevede che della violazione risponde anche chi con la propria condotta omissiva possa aver agevolato la condotta fraudolenta.

Al riguardo, la disposizione appare avulsa da un adeguato rapporto di adeguatezza con i due differenti casi (soggetto che pone in essere la modalità fraudolenta e soggetto ad essa estraneo). La rigidità della previsione normativa appare in contrasto con il canone della gradualità sanzionatoria, teso a salvaguardare il parallelismo tra gravità delle condotte e conseguenze sanzionatorie, e in tal senso violerebbe il canone di razionalità normativa affermato più volte dalla stessa Corte Costituzionale. La norma, infatti, con un meccanismo semi-automatico (immediata sospensione), riconnette ad una unica conseguenza comportamenti tra loro eterogenei, prescindendo dallo stato soggettivo della buona fede.

Tale scelta contrasterebbe con l'art. 3 della Cost., per violazione del principio ragionevolezza.

Non sembra superfluo sottolineare, inoltre, come la previsione normativa impatta in forma differenziata generando conseguentemente, per fattispecie analoghe e persino più gravi come previste dall'art. 55-quater nel testo vigente (si pensi a gravi condotte aggressive nell'ambiente di lavoro o in presenza di condanna penale definitiva in relazione alla quale è prevista l'interdizione dai pubblici uffici) sanzioni più affievolite.

Al proposito, si ravvisa la necessità, pertanto, di una riformulazione tesa ad espungere dal testo le parole: "o omissiva";

- il comma 3-bis, come introdotto dall'articolo 1, c.1, lett. b) dello schema di decreto, prevede che la "falsa attestazioni di presenza determina l'immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, senza obbligo di preventiva audizione dell'interessato."

Al riguardo, fermo quanto già suindicato in ordine alla competenza del soggetto che dispone il provvedimento di sospensione, si evidenzia come l'irrogazione senza indugio della sanzione della sospensione, in assenza di contestazione dell'addebito e di convocazione per il contraddittorio a sua difesa, ovvero in assenza di qualsivoglia comunicazione all'interessato, prima ancora della trasmissione degli atti all'ufficio individuato ai sensi dell'art. 55-bis, comma 4, violerebbe il canone di razionalità normativa e comprimerebbe in modo sproporzionato rispetto all'esigenza di tutela del buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) e del dovere di lealtà dei dipendenti pubblici (Art. 98 Cost.) , altri diritti costituzionali.

La previsione normativa, infatti, è strutturata in misura tale da non consentire la partecipazione dell'interessato al procedimento che genera il provvedimento di sospensione immediata dal servizio, vulnerandone così le garanzie procedurali poste a presidio della difesa, che riemergerebbero solo una volta che gli atti siano stati trasmessi a all'ufficio competente di cui all'art. 55-bis, comma 4.

In proposito, il principio del giusto procedimento è stato più volte esteso dalla stessa Corte Costituzionale ai procedimenti amministrativi a carattere contenzioso, e quindi a presidio di una garanzia sostanziale tesa alla salvaguardia dei diritti inviolabili della persona.

Sul punto soccorre peraltro il rispetto agli obblighi derivanti dall'ordinamento Comunitario, con il richiamo all'articolo 6 della CEDU, in base al quale vanno garantiti all'interessato alcuni essenziali strumenti di difesa, tra i quali la conoscenza degli atti che lo riguardano e la facoltà di contestarne il fondamento e di difendersi dagli addebiti.

Non appare inoltre superfluo richiamare, a tal fine, le disposizioni dell'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE, in base al quale il diritto alla buona amministrazione ricomprende anche il diritto di ogni individuo di potersi difendere, di essere sentito prima che nei suoi confronti siano adottati provvedimenti che gli rechino pregiudizio.

E' evidente, perciò, che debba essere salvaguardata la possibilità di contraddittorio affinchè sia garantito il nucleo essenziale dei valori inerenti i diritti inviolabili della persona, quando da essa possano derivare, come nel caso in esame, sanzioni che incidono direttamente su beni di rilevanza Costituzionale, quali il mantenimento del rapporto di servizio.

La portata della previsione normativa, pertanto, oltre a violare il canone di razionalità normativa, non sarebbe conforme con il principio di ragionevolezza, contrastando pertanto con l'Art. 3 della Cost., nella parte in cui prevede che si proceda all'immediata sospensione cautelare senza obbligo di preventiva audizione dell'interessato; e con gli Artt. 4, 24, c.2, e 35,2 in quanto il predetto difetto di ragionevolezza è tale da comprimere altri diritti a valenza costituzionale quali il diritto alla difesa e al lavoro.

Il richiamo all'articolo 24 della Costituzione appare necessario perché costituisce uno dei presidi inviolabili della Carta costituzionale. Il diritto alla difesa e al giusto processo, come espresso in più occasioni dalla giurisprudenza Costituzionale, non può essere sacrificato per esigenze di qualsiasi altra natura, quali la speditezza di un processo o di un procedimento. Tale principio, inizialmente connesso ai procedimenti giurisdizionali, ha trovato espansione, sia pure in misura più attenuata, anche nei procedimenti amministrativi e di carattere disciplinare.

Sul punto, si ritiene a questo fine necessario procedere alla soppressione della disposizione nella parte in cui prevede l'immediata sospensione cautelare senza obbligo di preventiva audizione dell'interessato; ovvero, subordinatamente, si provveda a riformularla nel senso di prevedere il rispetto di garanzie procedurali per la contestazione degli addebiti, ivi compreso il diritto al contraddittorio;

il comma 3-ter, come introdotto dall'articolo 1, c.1, lett. b) dello schema di decreto, comporta la responsabilità disciplinare dirigenziale nel caso di omissione dell'adozione del provvedimento di sospensione cautelare ovvero in mancanza dell'attivazione del procedimento disciplinare nei confronti del dipendente che ha falsamento attestato la presenza.

Al riguardo, si evidenzia che l'articolo 55-sexies, comma 3, del Dlgs 165/2001 già prevede l'applicazione di sanzioni disciplinari (sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell'infrazione perseguita, fino ad un massimo di tre mesi, e la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a sei mesi) per i dirigenti responsabili del mancato esercizio, per omissione o ritardo, dell'azione disciplinare.

Anche in questo caso, l'estrema rigidità della disposizione contrasterebbe con il canone della gradualità sanzionatoria, teso a salvaguardare il parallelismo tra gravità delle condotte e conseguenze sanzionatorie, violando pertanto il canone di razionalità normativa affermato più volte dalla stessa Corte Costituzionale. (sentenze 126/1995, 134/1992 e 415/1991).

Tale scelta contrasta, conseguentemente, con il principio del tendenziale superamento di sanzioni rigide ed "avulse da un confacente rapporto di adeguatezza con il caso concreto", principio ormai rinvenibile, in aderenza al principio di eguaglianza, non solo nell'area punitiva penale ma anche nello stesso campo disciplinare amministrativo.

Non sembra superfluo evidenziare, sul punto, che persino le più recenti disposizioni introdotte con la legge Severino (L.90/2012) in ordine alla prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, prevedono che in caso di mancata vigilanza o omesso controllo sul piano disciplinare per violazione da parte dei dipendenti dell'amministrazione delle misure di prevenzione costituisce, per il dirigente responsabile della prevenzione, illecito disciplinare privo tuttavia della sanzione afflittiva del licenziamento. In tal caso è infatti irrogata la sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi.

La portata della previsione normativa, pertanto, oltre a violare il canone di razionalità normativa, non sarebbe conforme con il principio di ragionevolezza, contrastando pertanto con l'Art. 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede il licenziamento per il dirigente che non abbia attivato il procedimento disciplinare o omesso l'adozione del provvedimento di sospensione cautelare, ovvero omesso la comunicazione all'ufficio competente; e con gli Artt. 4, e 35, in quanto il predetto difetto di ragionevolezza è tale da comprimere gravemente altri diritti a valenza costituzionale quali il diritto al lavoro.

Al riguardo, si ravvisa la necessità di procedere alla soppressione della disposizione in esame ovvero, si provveda a riformularla nel senso di assicurarne il coordinamento, in armonia con il citato principio di ragionevolezza, con quanto già disposto all'art. 55-sexies, comma 3, del Dlgs 165/2001.

Servizio Politiche Contrattuali P.A.

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